| | | OFFLINE | Post: 5 | Città: MILANO | Età: 51 | Sesso: Maschile | |
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  20/01/2009 01:49 | |
fkt., 16/01/2009 11.31:
"Battezzo" questa sezione con il topic "Ascolto"
Dove ascoltate di solito la buona musica?
AH, veramente dovunque... ma forse uno dei luoghi che prediligo è in macchina, quando si va piano e non c'è rumore, specie in coda... perché in macchina si sente bene, il suono è avvolgente come essere in una gigantesca cuffia...
Quanto influisce il titolo di un opera su quello che immaginate durante l'ascolto? Vedi esempi tipo "Jardin sous la pluie" di Debussy
Ci sono titoli azzeccati e titoli non azzeccati, titoli necessari e non necessari...
"Jardin sous la pluie" per me è un esempio di titolo non azzeccato e non necessario. Ho sempre pensato che la didascalia della pioggia battente sia in musica una di quelle per cui lo scotch non tiene mai tanto bene.
La musica - sempre - ha bisogno di forma. Forma è articolazione, strutturazione del tempo, ottenuta, fino al primo '900, con la varietà melodica, di gradi armonici, di tonalità o modalità. Se ad esempio nel classicismo "Ton ist Theme", "il tono, è questo il tema" come si ascolta in innumerevoli incipit generati a partire delle sole note appartenenti all'accordo perfetto di tonica, nel romanticismo, figlio così diretto del classicismo, si può dire che la forma si identifica con le possibilità strutturali della tonalità - fortemente stilizzate, codificate, è vero, non si assiste ad una tonalità libera di esprimersi senza limiti fino ai tardo romantici - si identifica quindi nel condurre il discorso musicale attraverso gradi, modulazioni... un articolazione che diventa drammatizzazione, la quale, applicata alla descrizione di fenomeni naturali riesce ingenua, artificiosa: la pioggia ad esempio, che tuttalpiù inizia nel pianissimo e finisce nel pianissimo, risuonando con un solo, monotono anche se fluttuante, rumore scrosciante. Dove stanno i gradi, le modulazioni, le cadenze...?
Ingenue rappresentazioni di sole, luna, nuvole e venti con occhi, nasi, gote umane... quando non caricaturate. So essere spietato, a volte.
Nell'inizio della Valchiria si ha il migliore esempio di pioggia, quello secondo me più riuscito: lo scroscio risuona sullo stesso unico suono nel tremolo degli archi, si articola solo per virtù di una dinamica undivaga, solo un poco stilizzante nell'adagiarsi sul metro ternario d'impianto, diventa è vero pedale superiore e poi interno ma è poi abbandonato non per diventare "melodia", ma solo venendo frantumato dal tuono di Donner... qui è la forma al servizio della rappresentazione, e la drammatizzazione è figlia della natura, delle forze che riecheggiano il caos primordiale dell'inizio della tetralogia, senza fronzoli e stucchi...
Il titolo "Jardin sous la pluie" - nell'ancora timido sperimentalismo extra-tonale debussiano, ancora basato sulla varietà, sulla strutturazione del tempo, in cui il fine è primariamente estetico, musicale - è dunque al contronto ingenuamente a programma.
E nonostante questo rimane uno dei brani che io prediligo. Per questo dico che il suo titolo non è necessario... perché non lo è per me ![[SM=g27988]](https://im0.freeforumzone.it/up/0/88/16680848.gif) .
Non è sempre così: "Pagodes" mi pare rimandare ad una realtà più vasta del significato letterale, e si affranca - secondo me - dalla mera didascalia ad esempio...
Bene o male comunque il titolo è un lascito dell'autore con cui è necessario confrontarsi, ma criticamente, e facendo valere il proprio giudizio (se nella scienza non vale il principio di autorità, beh, lasciatemi dire, nemmeno nelle arti!).
Grandi artisti e piccole idee, più spesso di quanto non sembri vanno di pari passo, e grande arte può essere creata anche a partire da idee... sbagliate.
Si può vivere di solo ascolto?
Di niente si può vivere in modo esclusivo...
Conoscendo tramite l'ascolto i grandi capolavori e la loro irraggiungibile perfezione a volte non sfiora il desiderio che, per evitare di rovinarli, restino confinati all'ascolto stesso e basta?
Ascoltare come dimensione esclusiva del rapporto con l'arte significa non avere necessità di *dire*. E' possibile.
L'interpretare invece non lo si fa - se non per dilettantismo - per ascoltare, per "entrare nell'opera"... ma per volontà di dire, di mostrare una via possibile...
Questa presunzione è alla base dell'interpretazione, e come tale non può essere soggetta a revisioni radicali ma solo momentanee e puntuali. Diversamente l'interprete si sente svuotato, frustrato, inutile, come uno scrittore che non vede più come fine ultimo lo scrivere...
Un interprete (se si vuole un interprete assoluto, archetipico) potrebbe concepire una simile frase solo applicata ad una propria interpretazione, solo provando un misto di amore e odio ad un'interpretazione di un altro: e un caso simile, reiterato, potrebbe portare solo alla crisi, all'odio, al delitto o all'auto-annientamento.
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